“La Napoli di mio padre” è l’ultimo lavoro della giornalista, regista e sceneggiatrice Alessia Bottone, realizzato con materiale di archivio, in collaborazione con l’Istituto Luce Cinecittà, la Cineteca di Bologna, K-Studio, l’Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico di Roma e l’Archivio Nazionale dei Film di Famiglia Home-Movies.
Il docu-film tratta i temi dell’immigrazione e dell’integrazione, tra pregiudizi e difficoltà, sia pratiche che sentimentali, tramite la vera storia di suo padre Giuseppe, che nel film interpreta se stesso. Selezionato al Festival International de Programmes Audiovisuels in Francia, il corto è stato premiato a molte competizioni, tra le quali il Bellaria Film Festival, il Festival del Cinema di Salerno, il Festival del Cinema dei Diritti Umani di Napoli e il Matera Film Festival, e presentato in Australia lo scorso 2 febbraio, al Victoria Immigration Museum di Melbourne.
“Io sono nata a Verona, racconta, ma volevo narrare quest’altra parte di me. Ci guardiamo sempre indietro quando siamo lontani…”. Perché Alessia, dopo essersi laureata in Istituzioni e Politiche per i Diritti Umani e la Pace, è andata in Erasmus a Barcellona, poi a lavorare presso una comunità indigena in Costa Rica, poi in Belgio per la lobby europea delle donne, poi in un centro di accoglienza per i profughi in Svizzera, poi alle Nazioni Unite a Ginevra e in missione di pace in Uganda. Dopo aver pubblicato due libri, “Amore ai tempi dello stage” e “Papà mi presti i soldi che devo lavorare?”, sul precariato dei giovani in Italia, ed essersi occupata di stereotipi ed emarginazione come giornalista, si dedica ai documentari su temi sociali quali la violenza “invisibile”, cioè piscologica, sulle donne, e le difficoltà dell’inserimento lavorativo femminile, conciliato con la famiglia.