Camparino: quando l’aperitivo milanese è storia

Spazi ristrutturati e un restyling che è riuscito a conservare ed esaltare l’eredità storica e i dettagli d’epoca Art Nouveau. Tutto questo è il nuovo Camparino in Galleria.

La Sala Spiritello, che si afaccia direttamente sulla Galleria Vittorio Emanuele II, impreziosita dall’originale opera di Leonetto Cappiello del 1921, vera e propria icona del marchio Campari, accoglie la nuova proposta cocktail & food.

Nello storico Bar di Passo, al piano terra, i cocktail proposti rimangono i grandi classici senza tempo, quelli che hanno fatto la storia della mixology e di Campari, come il Campari Seltz o il Negroni.

Un luogo unico, magico, tra storia e innovazione. Nel cuore della Milano più bella, più chic. Perché anche un semplice aperitivo, nel capoluogo lombardo, assume aspetti e connotati che altre location non ti possono offrire, come qualità, ricercatezza, stile.

Per una Italia unica nel suo genere.

Entrare al Camparino a fine giornata, per un bitter da bere in piedi conversando con gli amici, è come fare un salto indietro nel tempo. Fino a quel 1915 quando Davide Campari, a 48 anni, apre il bar dirimpetto alla grande sala dello storico caffè-ristorante Campari inaugurato lo stesso giorno della Galleria, il 15 settembre 1867. 

Grande 40 metri quadri era un “bar di passo”, un “bar in piedi”, nel senso che le consumazioni avvenivano al bancone, rapidamente. Una soluzione che richiede poco spazio e poco personale, garantisce un flusso continuo di avventori, minori costi di gestione, maggiori introiti per il proprietario e prezzi più economici per la clientela.

Il Camparino, anche se nato in tempo di guerra, diventa subito il tempio dell’aperitivo. Tra i motivi del successo internazionale ci sono sicuramente gli arredi Art Nouveau che rappresentano ancora oggi uno degli esempi più riusciti di liberty milanese. Il bancone in legno intarsiato da Eugenio Quarti, le lavorazioni in ferro battuto –in particolare i lampadari di Mazzuccotelli– i mosaici con motivi floreali di Angelo d’Andrea. 

Nel 1919 Davide Campari cede Campari e Camparino alla famiglia Zucca. A parte il bitter, inventato nel 1860 dal padre di Davide –Gaspare– con il nome di “Bitter all’uso d’Hollanda” ma ormai semplicemente “il Campari”, i nuovi proprietari servono come aperitivo il prodotto che ha fatto le fortune della famiglia. Il rabarbaro unito a una spruzzata di seltz, innovazione dell’epoca. 

L’idea è di Ettore Zucca, che prende spunto da una ricetta medica prescritta alla moglie per alleviare i disturbi digestivi. 

Carlo Carrà, futurista e celebre pittore dell’epoca, ricorda nelle sue memorie la fama del bitter servito come aperitivo al Camparino di Milano. Il bitter con la B maiuscola, soprannominato dagli avventori storici del locale “Il Papa grande dell’aperitivo”, dal gusto amaro e assai migliore di quello servito in ogni altro bar.

Campari e Camparino continuano ad attrarre clienti esclusivi, milanesi o viaggiatori di passaggio in città, tra cadute e rinascite, bombe e ricostruzioni, scapigliati e futuristi, fin quando il Campari viene rilevato da Motta e completamente trasformato. 

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