Tra gli artisti moderni della cosiddetta arte povera, rappresenta certamente, nel panorama della nostra Italia da Vivere, un uomo da scoprire, da valorizzare, a metà tra pop arte e quella primordialità legata al recupero dei materiali poveri tanto in voga.
Nell’arte romantica di Gino Marotta la natura con i suoi riprende forma e vita in modo straordinario e unico.
Seppur non inquadrato ufficialmente in alcun gruppo o movimento artistico, Gino Marotta (Campobasso, 1935 – Roma, 2012) è stato nel corso della sua carriera uno sperimentatore assiduo di tecniche e materiali, attraversando in modo originale e trasversale le ricerche d’avanguardia affermatesi in Italia nel corso degli anni sessanta, dalle tendenze Pop e New Dada all’Arte Povera.
Dopo le prime opere pittoriche degli anni cinquanta, Marotta avvia una ricerca polimaterica che si avvale dei materiali più diversi (piombo, stagno, lamine di alluminio, lamiere di ferro) muovendosi tra pittura, scultura e assemblaggio neodadaista.

Negli anni sessanta approda ai materiali sintetici e in particolare al metacrilato (o perspex) con cui dà vita a sculture prodotte in serie grazie a procedimenti di stampo industriale. Il metacrilato, materiale altamente tecnologico e pertanto “freddo”, è scelto in un gioco di contrasto con i soggetti rappresentati, ovvero forme della natura che si rifanno al mondo vegetale e animale.

Marotta inaugura così una ricerca orientata a esplorare e rappresentare la dicotomia tra naturale e artificiale, ricreando scenari immaginari popolati da forme coloratissime e trasparenti, tratte dal mondo della natura ma dichiaratamente fittizie e svuotate di ogni consistenza corporea. Le sezioni ortogonali conferiscono alle sculture tridimensionalità, ma soprattutto la luce, che attraversa questo universo in vitro, è in grado di ricostruirne i volumi, in un gioco di trasparenze e luminosità, presenza e assenza, magia e nostalgia di un eden perduto.
Le sculture in metacrilato di Marotta già raccontano un interesse per la creazione di opere di carattere ambientale, che sconfinano nello spazio e lo ridisegnano, coinvolgendo lo spettatore sul piano sensoriale. Del 1968 è la Foresta di menta, installazione composta da liane di plastica da cui si sprigiona un forte odore di menta, accompagnato da caramelle e liquore alla menta a disposizione del pubblico; vista, tatto, olfatto e gusto sono stimolati contemporaneamente permettendo un’esperienza multisensoriale.