Recuperare un “simbolo” del passato, senza mettere in atto trasformazioni che possano cancellare il valore del tempo. Creare, con la genialità della nostra architettura di una Italia tutta da vivere, un filo conduttore tra le tradizioni, in questo caso il folclore e le necessità della modernità. Tutto questo sta avvenendo negli ultimi tempi in località come San Vito di Cadore, dove i tabià diventano B&B e rifiugi per i turisti. Ma tutto questo accade senza creare scompensi lo ripetiamo con il passato. Il tabià non era altro che un fienile rustico tipico delle montagne bellunesi. Al piano terra c’erano le mucche come base stalla, al piano superiore il fienile e le provviste del contadino, dell’allevatore almeno per tutto l’inverno. Stiamo parlando di una costruzione tipica delle Valli del Cadore degli anni 60-70. Durante il periodo invernale gli animali erano tenuti quindi in rustici, situati in paese, composti da stalla e fienile Si trattava di edifici perlopiù in muratura talvolta annessi alla parete nord delle abitazioni o anche separati. In entrambi i casi, le stalle erano collocate al piano terra e sormontate da fienili di legno a più piani. Alcuni rustici si presentavano molto simili a case; i più antichi con ballatoi e sottotetto aperto, i più recenti completamente in muratura. I ballatoi spesso formavano una sorta di portico in corrispondenza della stalla dove erano tenuti al riparo vari attrezzi da lavoro. Un piccolo ambiente, ma straordinario, dove si concentrava però tutta la vita del mandriano, del pastore. Le vacche, il latte, i formaggi, le pecore, la lana. Un mondo che merita di essere raccontato.
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