Il tema dell’emigrazione è un argomento fin troppo trattato, continuare ad affrontarlo potrebbe sembrare ripetitivo e poco interessante.
Oggi parliamo del lavoro della scrittrice e giornalista Maria Schirone che raccoglie racconti di storie di donne lucane, nel periodo della seconda guerra mondiale, è quanto mai ricco d’interesse e di spunti suggestivi perché pone l’accento su una prospettiva nuova del problema: l’emigrazione vissuta dalle donne, da figlie, madri e nonne che hanno seguito i loro uomini con la “valigia di cartone” in terre lontane e in paesi a loro spesso ostili.
Il lavoro di Maria Schirone nasce dopo la conferenza “Lucane Protagoniste in Europa”, promossa dalla Commissione Regionale dei Lucani nel Mondo e dalla Federazione dei Lucani in Svizzera e raccoglie storie di donne che hanno vissuto l’esperienza migratoria in prima persona, nonché delle giovani che appartengono alla seconda e terza generazione di emigranti.
L’iniziativa ha dato modo, per la prima volta, di mettere in contatto donne viventi in paesi diversi, ma dall’origine comune, con la stessa esperienza migratoria anche se con storie diverse.
Il libro raccoglie le storie risultate finaliste alla Prima edizione del Concorso letterario “Storie di Donne Lucane – racconti di figlie, madri, nonne”. Tali storie offrono apporti nuovi al tema dell’emigrazione, la quale non è stata vissuta sempre e solo come un dramma ma “anche come occasione di crescita e di promozione personale”, come afferma la stessa Schirone.
“Non ricordo di aver ricevuto mai tanto affetto quanto in quei giorni, ero per la prima volta al centro dell’attenzione di un’intera famiglia……. Tutti mi facevano sentire importante”: queste sono le parole, ad esempio, di Rosa Lamberta, una delle donne il cui racconto è presente nel libro, che è emigrata in Germania all’età di sei anni. Tuttavia nei racconti non mancano i momenti drammatici e toccanti, la stessa Rosa Lamberta racconta, infatti, poco dopo che “la favola finì”, in quanto le difficoltà di inserimento per le donne furono maggiori perché coloro che stavano in casa non avevano modo di interagire con gli altri e rimanevano molto spesso isolate e incapaci di comprendere il nuovo mondo che le circondava, mentre per le donne che lavoravano era inevitabile lo scontro tra culture e abitudini diverse. Non va dimenticato, però, che per molte donne l’emigrazione è stata il mezzo per raggiungere libertà e diritti nemmeno immaginabili nel loro paese d’origine.
E’ forse bene che ai nostri giorni, quando tutto sembra dato per scontato e tutto sembra sia dovuto, si rifletta sulle vicissitudini di donne che pur di non diventare per tutti una “vedova bianca”, così venivano chiamate quelle che aspettavano il marito per Natale o per l’estate, per ricongiungersi con i propri mariti hanno avuto il coraggio e la forza di lasciare un ambiente fatto di poche cose, ma certe: la casa, i loro affetti, il vicinato, per essere catapultate in una realtà della quale ignoravano tutto, lingua, usanze, abitudini….., donne alle quali, nei loro paesi d’origine, non tanto tempo fa, era addirittura impedito anche di attraversare la piazza qualora fosse stata piena di uomini. Donne che, comunque, sono state capaci, in paesi di cui non conoscevano nulla, di accudire la famiglia, lavorare e, quando la necessità lo richiedeva, anche di diventare imprenditrici.
Donne che, soprattutto, hanno avuto la capacità e la lungimiranza di mantenere il legame con la propria terra, coltivando i rapporti con gli affetti lontani e trasmettendo ai propri figli la cultura, le tradizioni, la lingua di origine.