Come tutti i bovini autoctoni con mantello bianco è una razza antichissima. La Piemontese non è nata, a differenza di alcune altre, da manipolazioni sul patrimonio genetico e la sua origine va ricercata addirittura nell’era quaternaria. Infatti, inizia la sua storia proprio nel periodo Pleistocenico, dalla migrazione di un tipo di bovino (Aurochs) dall’attuale Pakistan verso le Alpi e gli Appennini.
La migrazione verso Est di questi animali fu arrestata da un territorio acquitrinoso e paludoso che si estendeva dalla bassa valle del fiume Tanaro sino alla Dora Baltea: pressapoco, l’odierno Piemonte.
La storia più interessante della piemontese inizia nel 1886. In quell’anno, nel piccolo comune di Guarene d’Alba in provincia di Cuneo, nasce per la prima volta da un mutamento spontaneo un toro con enormi natiche e cosce muscolosissime. Detto «groppa di cavallo» o «groppa doppia», è proprio lui il capostipite dei nostri «vitelli della coscia». Una svolta storica: razza da carne, da latte (in particolare in montagna) e da lavoro, da quel momento la piemontese inaugura la sua futura carriera di produttrice di carne.
All’inizio del Novecento i capi sono 680 mila; nel 1973 la piemontese è la terza fra le razze italiane e la prima di quelle autoctone e, ancora nel 1985, conta oltre 600 mila capi. Ma dieci anni sono più che sufficienti a dimezzarli. Oggi sono circa 300 mila gli animali, distribuiti in 15 mila allevamenti: per lo più piccole stalle a conduzione familiare.
La razza presenta una buona adattabilità all’allevamento in zone altimetriche diverse, dalla pianura ai pascoli d’alta quota. Da ciò deriva anche un’elevata longevità, superiore a quella riscontrata in altre razze bovine.