I canti alpini hanno un profondo legame con la cultura della montagna da cui provengono tant’è vero che alcune cante hanno oltre cento anni. «Gli alpini sono figli delle loro valli così come le loro canzoni», dice il Maestro Marchesotti. Molte canzoni poi sono un’ode alla montagna stessa. Quando un soldato sarà assetato, la neve fresca sarà lì a dargli sollievo. Un Ufficiale in punto di morte chiede ai suoi uomini di dare parte dei suoi resti alle montagne per far sbocciare rose e fiori. Un sentimento di malinconia molto popolare.
I cori alpini tuttora pubblicano album e fanno concerti in tutto il Nord Italia e l’interesse generale nei loro confronti va al di là della loro musica. Sono stati girati molti film e documentari che raccontano le gesta degli alpini. Lo scrittore alpino Mario Rigoni Stern ha scritto “Il Sergente nella neve” un libro che parla della sua esperienza di guerra durante la Campagna di Russia, ristampato cinque volte e diventato un film. (…) «Ghe rivarem a baita?» (quando torneremo a casa?) espressione dialettale ripetuta più volte da uno dei protagonisti del romanzo. Questo a sottolineare come la cultura alpina non sia affatto un fenomeno folkloristico, ma un modo per diffondere la bellezza della gente e dei paesaggi caratteristici dei confini d’Italia. Questo patrimonio però è in pericolo. Molti reggimenti degli alpini sono stati disciolti negli anni ’90.
Gli alpini sono un Corpo dell’Esercito italiano specializzato, per addestramento, armamento, veicoli, ad operare in zone di montagna. Nacquero però in una città di mare, a Napoli, il 15 ottobre 1872, quando il re Vittorio Emanuele II firmò il decreto di costituzione. A «inventare» gli alpini fu un ufficiale, Giuseppe Domenico Perrucchetti, appassionato di montagna. Il Corpo doveva essere costituito in prevalenza da soldati nati nelle vallate alpine, ottimi conoscitori del terreno, del clima e delle sue difficoltà, per rispondere alla necessità di difendere i nuovi confini terrestri, acquisiti dopo la guerra del 1866 contro l’Austria.
La loro divisa ha un cappello molto particolare. Perchè?
Il copricapo adottato alle origini del Corpo era la «bombetta alla calabrese» con una penna nera e il fregio con l’aquila ad ali spiegate. A inizio ‘900 il cappello fu modificato, senza cambiare più sostanzialmente fino ai giorni nostri. A metà dell’Ottocento questo copricapo era piuttosto diffuso fra i Corpi degli eserciti europei. A differenza di altri che sono passati al «basco», gli alpini hanno mantenuto il loro cappello originale. Grigioverde, è fatto al 10% di peli di lepre e al 90% di coniglio, assemblati con 150 grammi di amalgama e colla.

I soldati che appartengono oggi al Corpo degli alpini arrivano ora da tutta Italia, indebolendo lo stretto legame con le Alpi. Tuttavia le Truppe Alpine continuano a giocare un ruolo attivo nella realtà italiana. Hanno combattuto nella Nato in Afghanistan. Gli addestramenti in caso di valanga, per esempio, sono stati utili durante il terremoto in Centro Italia. Inoltre l’Ana con i suoi 350mila iscritti gioca un ruolo molto importante in diversi ambiti.
Sia per la diffusione della cultura alpina sia per alcuni interventi a carattere locale come, per esempio, la conservazione delle santelle o il ripristino dei sentieri di montagna. (…) Con il centenario della fine della Grande Guerra nel 2018, gli alpini tornano alla ribalta nella scena culturale italiana…