Il panorama artistico della nostra Italia da Vivere, epoca per epoca, è talmente vasto, che occorrerebbero pagine e pagine di libri per raccontarlo. Senza dimenticare che ogni Regione, seppur figlia dello stesso straordinario territorio nazionale, ha avuto le sue peculiarità in fatto di pittori, scultori etc. Di sicuro il tema della religiosità è e sarà sempre al primo posto dell’arte italiana del tempo che fu. Nelle Marche, più che nelle altre regioni, possiamo accennare a una straordinaria tendenza all’arte naturalistica, scevra da contesti religiosi, soprattutto a partire dal Settecento.
L’interesse per la rappresentazione dell’ambiente naturale non si è sviluppato in modo analogo in ogni epoca o civiltà: il modo di mettersi in rapporto con la natura da parte dell’uomo e, per converso dell’artista, è stato infatti estremamente variabile nel tempo. Le più lontane premesse della pittura di paesaggio sono da rintracciare nelle rappresentazioni figurative di età classica in cui il paesaggio è prevalentemente un luogo ideale, mnemonico e dunque slegato dalla percezione visiva. Tale tendenza permane nel corso del Medioevo, età in cui la rappresentazione dell’ambiente naturale sottostava ancora a concezioni prevalentemente simboliche legate al contesto religioso.

Il risultato che ne è derivato è stato quello di una raffigurazione della natura ideale ed astratta che fungeva per lo più da sfondo alle opere religiose e che fosse in grado soprattutto di favorire la comprensione dei soggetti da parte dei fedeli. Il punto di svolta venne segnato da Giotto che, nel celebre ciclo di Assisi, ha recuperato un naturalismo più coerente e veritiero. Benché sempre sottomesse alla narrazione di storie, le vedute cominciarono da quel momento ad acquisire sempre maggiore autonomia. In età rinascimentale la rappresentazione del contesto geografico si fa più veritiera, pur rimanendo un elemento subordinato al soggetto principale.
La pittura di paesaggio quale genere ha origine nel Cinquecento e, nell’arco di un secolo, si insinua gradualmente fino ad ottenere piena consacrazione nel Seicento, secolo in cui diviene totalizzante, infrangendo in via definitiva il sistema spaziale rinascimentale che vedeva l’uomo al centro di tutto. Nel Settecento grande successo ottiene il genere della ‘veduta’ in cui scienza e arte si conciliano alla perfezione nei virtuosismi prospettici debitori dello sviluppo degli studi sull’ottica: Canaletto, Guardi e Bellotto sono alcuni dei nomi più celebri del vedutismo italiano.
L’arte marchigiana segue in nuce lo stesso andamento dell’arte italiana: il paesaggio è dapprima lo scenario talvolta reale e talvolta idealizzato delle pale d’altare del Pagani, del De Magistris e del Guerrieri, tanto per citare alcuni significativi esempi; è poi oggetto di studio e di esercitazione nei disegni conservati nella Biblioteca di Urbania del Barocci, di Gherardo Cibo e di Domenico Peruzzini, ed infine diviene protagonista unico e assoluto del pittore anconetano Francesco Foschi, l’unico forse ‘pittore di vedute’ marchigiano.