L'asino italiano, simbolo di un Meridione unico e straordinario

Nei film del Neorealismo italiano era simbolo di coraggio, di forza, di umiltà, di fedeltà, rappresentava la "bellezza" straordinaria di povere famiglie contadine dell'Italia da Vivere che “contavano” su di lui come unico mezzo di trasporto. E spesso era la Sicilia, nei film di Pietro Germi, a veder protagonista l’asino tra gli animali domestici. Ma anche Vittorio De Sica, in Pane, Amore e Fantasia, con la bella Lollobrigida, ci racconta dell’asino "Barone", simbolo di povertà, di umiltà, quell’asino che finisce sotto le macerie del terremoto e che De Sica è costretto ad abbattere per non farlo soffrire, tra le lacrime della Bersagliera che lo amava come un fratello. Al punto da dire nel film: «Hai lavorato più degli uomini, riposa in pace amico mio». Asini italiani, famiglie contadine, folklore, uguale ancora Sicilia, soprattutto isola di Pantelleria. Non ci è dato sapere quando effettivamente l’asino fu introdotto a Pantelleria, probabilmente fu con i Fenici, in quanto provenienti da quell’Asia Minore che ne fu la patria, come d’altra parte molte immagini evangeliche ci raccontano. Tuttavia, è pur vero che millenni sono passati, e non invano, visto che l’ambientamento fu totale, anche se condizionato dalla presenza umana e dai suoi usi e dai costumi di vita. Le caratteristiche dell’isola, l’asperità del territorio, la necessità di trasporto umano e merceologico, ne hanno fatto una “specie” particolare” catterizzata da andatura unica e caratteristiche morfologiche proprie. ‘u sceccu, o sumeri, pantesco è divenuto nel tempo uno dei simboli di vita isolana, apprezzatissimo e amatissimo dagli abitanti, perché valoroso, forte, robusto e fedelmente devoto. La memoria ci tramanda notizia dei piccoli pellegrinaggi al Santuario della Margana da tutte le contrade a dorso di asino e/o mulo, o anche fino a tempi molto più recenti del palio del lago, o “cursa di li scecchi”, partecipatissima manifestazione, a volte esilarante per comprensibili ragioni. Come peraltro dimostrato dalla sua ricercatezza per ibridare altre specie equine, anche per esigenze belliche: è noto, credo a tutti, che esso fu impiegato con successo nella prima guerra mondiale sui fronti alpini per trasportare artiglieria. Ma la progressiva motorizzazione ne ha sminuito, a partire dal secondo dopoguerra, l’utilizzo e l’allevamento, fino alla scomparsa quasi assoluta.