“A Santa Lucia nu’ passe ‘e gallina…”, così recita la prima parte di un’antica massima popolare campana che tutti abbiamo, almeno una volta nella vita, sentito dire dalle nostre nonne, proprio nel giorno in cui si celebra la santa siciliana che morì decapitata durante le persecuzioni contro i cristiani volute dall’imperatore Diocleziano. Il detto deriva dal fatto che, prima della riforma del calendario voluta da Papa Gregorio XIII nel 1852, il solstizio d’inverno cadesse proprio il 13 dicembre, giorno in cui le ore di luce duravano di meno. Il culto della Santa si è poi diffuso in tutta la penisola a partire dal IV secolo mentre le sue spoglie sono custodite a Venezia, nella chiesa di San Geremia dopo essere state trafugate a Costantinopoli. Santa Lucia, inoltre, è considerata la protettrice degli occhi e della vista secondo un’antica leggenda nella quale si narra che la giovane avesse regalato i suoi occhi a un ragazzo, perchè abbagliato dalla loro bellezza, e che questi le fossero poi ricresciuti ancora più belli di prima, ma Lucia, rifiutatasi di darglieli nuovamente, sarabbe stata uccisa da lui con una pugnalata al cuore. Nella città di Napoli, parallelamente alla santa “ufficiale”, è molto sentito il culto nei confronti di un’altra Lucia, sfortunata sposa protettrice degli innamorati, una delle tante “anime pezzentelle” (dal latino peto = chiedo) che si trovano nel sottosuolo della chiesa di Santa Maria delle Anime del Purgatorio ad Arco e dei cui teschi i credenti, in cambio di protezione, si prendono cura con fiori e preghiere per rendere loro meno difficile il passaggio nel Purgatorio. Due sono le leggende che ruotano intorno a questa giovane donna. Nella prima, si racconta che Lucia, unica figlia di Don Domenico d’Amore, principe di Ruffano e marchese di Ugento, a sedici anni, subito dopo le nozze con Giacomo, Marchese di Santomango, fu colpita dalla tisi e morì. Come spesso accadeva a Napoli quando si spegneva una giovane ragazza, anche questa morte scatenò grande commozione tra le spose e le mamme del quartiere della Pietrasanta e del Purgatorio ad Arco. Un’altra versione ci racconta invece che Lucia avesse un fidanzato che amava sin da quando era bambina. Poiché lui temeva che i demoni si potessero intromettere nella loro storia d’amore, l’aveva chiesta in sposa, ma lei, che aveva solo diciassette anni, voleva aspettare. Gli anni però passavano e lui, non riuscendo a convincerla, aveva deciso di andare a vivere in un’altra città, dove aveva trovato lavoro come operaio in una fabbrica di polvere da sparo. Lucia, allora, rendendosi conto di non poter fare a meno di lui, aveva deciso di riconciliarsi e avviare i preparativi per le nozze, non senza le difficoltà dovute soprattutto alla lontananza dell’amato. Purtroppo, pochi giorni prima che si celebrasse il matrimonio, il promesso sposo morì in un’esplosione avvenuta nel deposito di polvere da sparo e Lucia, in preda al più totale sconforto, dopo aver indossato il velo da sposa, si gettò in un pozzo. Il teschio di Lucia, che si trova in una nicchia rivestita di celeste, è infatti incoronato da un velo nuziale e da un diadema su cui troneggia il suo nome: tutt’intorno ci sono fiori, ceri, gioielli, ex-voto d’argento e cartapesta. Il velo potrebbe quindi indicare il matrimonio sospeso, oppure la speranza che la ragazza, ribellatasi fino alla fine a un matrimonio imposto, riuscirà finalmente a conquistarsi un posto tra i santi canonizzati.