La cultura italiana, a distanza di secoli dalla sua dipartita, ancora oggi deve un tributo straordinario al più sommo dei poeti. Rileggendo molte delle sue opere, ci si rende conto di come Leopardi sia stato capace di anticipare i tempi in modo straordinario.
L’immenso ed eterno genio di Recanati è autore, tra gli altri suoi capolavori, di uno Zibaldone infinitamente famoso e autorevole, dove il sommo poeta riflette sull’apparente idillicità della Natura e vi scorgeva, il corrugamento, l’appassimento, il dolore, la pena, il conflitto di forze a noi invisibili.
Il grande poeta e filosofo di Recanati non credeva in un mondo in pace con sé stesso, costruito per esprimere il Bene, per compiacere gli esseri viventi, siano essi cellule, piante, animali, uomini. No.
Per Leopardi, non si vive, come intendeva Leibniz, nel migliore dei mondi possibili, ma in un luogo di sofferenza, di guerra, di vincitori e vinti.
Certo, ci è difficile, scorgere tutto questo osservando l’armonia tra le cose di un giardino, quella grazia di petali e colori che accarezza lo sguardo, la giocosità di una farfalla, l’operosità di un millepiedi, il ristare di una goccia di rugiada a inghirlandare una foglia.
Tutto sembra così volutamente bello e sinfonico. Armonioso.
Eppure, nell’armonia si nasconde… l’arma, e nell’ordine… il disordine.
La Bellezza finisce per essere il risultato di uno scontro, di una guerra che dà forma all’informe, che lascia sul suo cammino vittime sacrificali ed eroi.
La Natura, in tutto il suo sfolgorante incanto, somiglia davvero a quella che Goethe immaginava come una danzatrice scriteriata, incurante, nelle sue folli evoluzioni, degli esseri che calpesta e che lascia morire.
Leopardi era cosciente della danza di questa Natura, forse neanche tanto matrigna, quanto semplicemente insensata e libera da schemi. E qui sta tutto il suo genio.
Ci affascina infine la sublime scelta lessicale che il Poeta opera, nello Zibaldone, per riferirsi a questo dolore dell’esistere.