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L’Italia da Vivere degli anni Sessanta e l’Arte Povera: riscoperta del senso più profondo dell’energia della terra

L’Arte Povera è un movimento artistico nato in Italia nella seconda metà degli anni Sessanta del Novecento, al quale aderirono soprattutto artisti torinesi. Il suo teorizzatore è stato il critico d’arte Germano Celant.

Il movimento rifiuta tecniche e supporti dell’arte tradizionale e fa ricorso a materiali non artistici, poveri e facilmente reperibili, naturali e industriali (terra, acqua, vegetali, legno, plastiche, stracci, scarti industriali, ecc.), proposti spesso sotto forma di installazioni per creare interazione tra il prodotto  artistico e lo spettatore.

Al contrario dell’arte tradizionale, l’Arte Povera non crede che il prodotto artistico sia sovra-temporale e trascendente: per questo utilizza spesso, provocatoriamente, prodotti vegetali destinati, ovviamente, a deperire. Obiettivo del movimento è ridurre il segno artistico all’essenzialità per riaffermare valori primari come il senso della terra, della natura, dell’energia, dell’innocenza.

Nel suo complesso, il movimento non è politicizzato, anzi rifiuta l’inserimento in qualsivoglia tipo di sistema. Per gli artisti poveri l’unico modo possibile per costruire un rapporto con il mondo è fare arte, manipolare gli elementi ed entrare in contatto con il pubblico. Solo così si fa anche politica, scienza, pensiero.

Presto riconosciuto anche a livello internazionale, il movimento dell’Arte Povera ha fra i suoi maggiori esponenti  Giovanni Anselmo, Alighiero Boetti, Pier Paolo Calzolari, Luciano Fabro, Jannis Kounellis, Mario Merz, Giulio Paolini, Pino Pascali, Giuseppe Penone, Michelangelo Pistoletto, Emilio Prini, Gilberto Zorio.

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