Massimo Viglietti: lo chef scrittore

L’esordio narrativo dello Chef stellato Michelin Massimo Viglietti, di Alassio, con il libro di racconti, Mete, getta una luce nuova su temi all’ordine del giorno come il cibo, la tradizione e l’innovazione, lo stile della tavola, gli chef.

«Da tempo avevo in mente di scrivere una storia che fosse singolare, tutti mi dicevano che avrei dovuto scrivere di cucina, però io non volevo fare il solito libro con le foto, scritto da un ghostwriter.

Provengo da una famiglia che è nel settore gastronomico, mio nonno ha avuto due figli, io sono figlio e nipote d’arte.

È mancato prima che io nascessi, tutti in famiglia hanno sempre detto che ho il suo carattere, allora mi sono immaginato una storia tra due personaggi che s’incontrano, uno con un’età più avanzata, e si raccontano. È un viaggio onirico, dentro ci sono personaggi trasfigurati nel sogno: Corto Maltese, i Beatles, che vengono a giocare con le due voci narranti».

Viglietti la definisce un’opera di fantasia, introspettiva, con tracce autobiografiche e risvolti interessanti, in cui il trait d’union è sempre la gastronomia. Il libro è illustrato da una ragazza, Linda De Zen, che fa dei disegni particolari, anche per questo è un libro diverso, che lavora su situazioni oniriche, ci voleva qualcosa che lo completasse, che facesse vivere certe idee, certi personaggi.

L’illustrazione, il disegno, il tratto sono appropriati in questo senso. Il titolo Mete allude anche alle mete che si ha in mente di raggiungere e questo doppio senso lo ha convinto. La tradizione culinaria per un popolo rappresenta il DNA, ci portiamo dietro cultura, amore, passione, famiglia e lo sviluppiamo a tavola, che non è solamente sedersi e mangiare, è continuare il rito della famiglia, tutto ciò che crea sentimento, che genera situazioni passionali.

Da 7 anni Viglietti risiede e lavora a Roma, prima aveva sempre vissuto e lavorato in Liguria presso il ristorante di famiglia (2 stelle Michelin). Per lui il cibo è cultura, rispetto, studio, ricerca, ciò si traduce in un aspetto salutistico, ossia avere rispetto per i cicli vitali delle piante, per l’allevamento di un animale. «Da mediterraneo la mia cultura si basa su un prodotto stagionale fresco e non lavorato in maniera industriale, c’è un’etica in questo, che caratterizza la nostra crescita». Ha già pronto un secondo libro, non sapeva che nella vita avrebbe scritto, sono cose latenti, chiunque faccia questo mestiere si arricchisce con le cose che ha attorno e vi attinge.

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