Anno di nascita 1898, autrice di commedia, attrice, pittrice, donna carismatica ma dall’animo gentile, stessa età di un altro partenopeo d’eccezione nel mondo dell’arte e della recitazione, un certo Antonio De Curtis meglio conosciuto come Totò.
Lei è Titina De Filippo, attrice indimenticata, figura finalmente rivalutata, con merito, a distanza di anni dalla morte, nel panorama nazionale della commedia d’autore. L’ago della bilancia meraviglioso di due figure pesanti, ingombranti, che la carriera divise, ovvero Eduardo e Peppino De Filippo, i suoi più celebri fratelli.
Studio, passione, una famiglia di artisti alle spalle: Titina non ha la bellezza delle attrici che verranno da lì a poco, come la Loren, la Lollobrigida, non ha il fisico da maggiorata, ma possiede cultura da vendere, due occhi luminosi, sagacia, intelligenza, tenacia, e naturalmente talento puro.
Titina conquista in pochi anni sempre più consensi: non concede nulla al manierismo, alla gestualità prorompente, al patetico o al sentimentalismo; la sua recitazione è naturale, essenziale e moderna; offre al pubblico, con il rigore di una grande attrice, le mille sfaccettature dei personaggi che interpreta magistralmente e che, travalicando i confini della napoletanità, diventano simboli universali della condizione femminile.
Singolare è la storia artistica di Titina De Filippo, una delle più grandi attrici del teatro napoletano, divenuta presto di fama nazionale. Nata nella Compagnia di Eduardo Scarpetta, nel ruolo truccato di Peppeniello in Miseria e Nobiltà, recitò, poi, per circa dieci anni nella Compagnia di Vincenzo. Passata verso il ’20 nella Molinari del Nuovo, per quanto preparata e brava, coprì uno dei ruoli minori. Se a lei pur si affidavano certe parti difficoltose, essa non riceveva all’inizio in cambio alcun riconoscimento ufficiale. Le prime donne si chiamavano, volta a volta, come si è visto, Maria Dolini, Mariella Gioia, Bianchina De Crescenzo, Marga Cella, e Titina sempre al secondo posto!
Lei ne fece un cruccio, quasi una malattia. Non sapeva darsi pace, e, quasi come per ricercare un appoggio e un sostegno, affrettò in pochi mesi il suo matrimonio con Pietro Carloni, che le voleva un sacco di bene e che lei ripagò con uguale amore e con grande dedizione e rispetto. Sposati, insieme lasciarono la Molinari, e furono quelli, momenti diffìcili per la giovane coppia. Ebbero un’offerta dalla Compagnia di Sceneggiate CaDero-Fumo. L’accettarono e Titina entrò in un ambiente nuovo per lei. Dopo un breve periodo tornò con il marito al Nuovo ed ora, fra i due fratelli, ella si trovava ad essere moderatrice misurata di alta classe. Di fronte alla fantasia robusta e profonda di Eduardo e alla prepotente impetuosità di Peppino, ella trovò per istinto il punto di mezzo di una condotta artistica fatta di misura, di controllo e di saggezza. Contemperò, amalgamò, emulsionò quasi, attraverso la sua recitazione, i suoi silenzi, le sue pause e i suoi interventi, le forze esplosive e divergenti dei fratelli, operando miracoli di equilibrio. E proprio allora dette la prova di esser davvero una grande attrice, poiché fra quei giovani colossi soltanto una grande attrice poteva, senza guastarli, salvare sè stessa e il personaggio a lei affidato. Titina era una vera signora e sfatò presso critici e scrittori del Nord la leggenda dell’attrice napoletana sempre pittoresca e smargiassa, dai colori eccessivi e dal linguaggio violento. Fu dappertutto e sempre amata, stimata e riverita.

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