Campione dal talento purissimo, gentiluomo nella vita e persona di altri tempi. Lo sport mondiale, il panorama della Formula Uno deve celebrare con merito il mito di un pilota italiano straordinario quale Michele Alboreto, che forse non avrà fatto incetta di vittorie come altri colleghi, ma di certo nel corso della sua carriera ha saputo rappresentare come pochi l’italianità con la sua sportività, la correttezza e le indubbie capacità del grande sportivo quale è stato. Nato a Milano nel 1956, Michele Alboreto aveva la spregiudicatezza e il coraggio di chi giovanissimo si affaccia al mondo della Formula 1. Riservato e timido nella vita fuori dalle piste, sulla monoposto rivelava invece una determinazione senza eguali. Correva sempre come se dovesse essere la sua ultima gara, non si risparmiava mai. Quando le cose giravano per il verso sbagliato, Alboreto poteva diventare furibondo. Ma aveva la grande capacità di incanalare, in modo positivo, tutta la sua aggressività per andare più forte, per non cedere, per non arrendersi mai. Si poteva scommettere che, qualche ora o il giorno dopo, la tanta rabbia si sarebbe trasformata in decimi in meno nei tempi sul giro. Prima le vittorie all’esordio con la Tyrrel, poi la scelta del cuore, la Ferrari, la Rossa di Maranello, l’auto che ogni pilota italiano sogna di guidare nella vita. Il suo anno migliore è il 1985, dove arriva ad un passo da diventare campione del mondo. La sfortuna, chissà, una macchina che in quella stagione non seppe essere alla sua altezza, nonostante si chiamasse Ferrari. Alboreto non avrà più occasioni simili in carriera. Ma il mondo dello sport gli deve tanto, i colleghi gli devono tanto. Michele Alboreto non abbandona le corse. Dal campionato turismo tedesco alla Irl e Indianapolis, finisce con l’approdare alle Sport. Delle corse sugli ovali dice che “gareggiare là è come andare in guerra in Vietnam”, cosciente che ormai ha rischiato abbastanza per non andare oltre. Nadia, la campagna di una vita, lo implora, mese dopo mese, di smettere. Negli ultimi anni gli affari lo assorbono quasi a tempo pieno. Il resto è dedicato alla famiglia e all’Harley Davidson, con un occhio di riguardo agli aerei, altra sua grande passione. La vittoria a Le Mans è il coronamento di un sogno, cullato sin dai tempi in cui aveva visto Steve McQueen al cinema su una Porsche nel celebre lungometraggio sulla 24 ore. Si sentiva sicuro sulle Sport, così sicuro che il pensiero di smettere non lo sfiorava nemmeno. Il 25 aprile 2001 sul circuito tedesco di Lausitzring arriva il tragico incidente che strappa la vita a Michele Alboreto. Come in un film.