Pittori contemporanei, Castellani il genio delle tele bianche

I pittori italiani del passato, che la storia ha reso celebri e immortali, che i quadri nei musei di casa nostra e di tutto il mondo renderanno eterni, rimarranno per sempre, nel mondo dell’arte della nostra Italia da Vivere, una traccia indelebile di un Paese che come nessuno al mondo, in ogni epoca, è stato capace di regalarci la mano di geni assoluti capaci di emozionare, di raccontare epoche, laddove la pittura è religiosità, racconti quotidiani, introspezione interiore, sofferenza, gioia, amore puro.
Il nostro rapporto con l’arte è complesso: la storia ci ha consegnato pittori così straordinari, che non è semplice, per un artista moderno, riuscire ad attirare le attenzioni del pubblico e degli appassionati più di quanto lo faccia il passato.
Eppure molti artisti attuali meriterebbero di essere raccontati, conosciuti, amati, apprezzati. Perché nessuno potrà mai scalfire il valore eterno di un Michelangelo, di un Giotto, di un Cimabue, di un Caravaggio, ma i pittori viventi o comunque scomparsi da pochissimo, della nostra Italia da Vivere, meritano la massima attenzione, e non solo da parte degli addetti ai lavori. Vanno quindi riscoperti e studiati.
Uno dei più importanti – e forse il più importante in assoluto – pittore italiano del Novecento sbarcato nel XXI secolo è stato Enrico Castellani. Ovvero, la parte razionale e riflessiva del connubio che a fine anni ’50 si instaurò a Milano con Piero Manzoni e Agostino Bonalumi (il primo scomparso già negli anni ’60, il secondo venuto a mancare da poco).
Castellani maturò un nuovo concetto di arte, contraddistinta da tele perlopiù bianche che venivano estroflesse introducendo vari oggetti al loro interno. Si creavano così delle superfici sbalzate, regolari, ma in cui la luce, cadendo da diverse angolazioni, dava effetti imprevedibili.
Usando chiodi e sagome di metallo o di legno, Castellani seppe già in quei primi anni crearsi una importante reputazione in ambito europeo. La critica lo salutò subito come il «padre del minimalismo» e della riflessione sul ruolo dell’occhio nell’interpretazione dell’opera d’arte.

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