Non lo sappiamo se davvero questo gustoso condimento, tipico della cucina partenopea, che però ha anche molte similitudini con piatti siciliani e pugliesi, debba realmente il suo nome ad una gentil donna, che durante l’epoca delle case di tolleranza in Italia, l’avrebbe inventato e preparato per i suoi avventori. Quello che vi possiamo raccontare con certezza è che la pasta alla puttanesca rappresenta di certo oggi un primo piatto storico, pietra miliare della cucina della nostra Italia da Vivere.
L’aglio sfrigola pochi minuti, i pomodori maturi sbollentati e pelati dopo passaggio in acqua fredda finiscono nell’olio bollente, ma intanto nel fondo, eliminato l’aglio, vengono aggiunte le olive nere e i capperi. Un sugo velocissimo, adatto anche a condire un pesce fresco, una bruschetta o una pizzella di pasta cresciuta tipica della cucina del sud. Le varianti non mancano: acciughe, tonno in scatola, origano al posto del prezzemolo, di certo a mancare non deve essere una bella dose di peperoncino.
Ad esempio nel Lazio, gli spaghetti alla puttaenesca sono preparati con sugo, pomodoro, olio d’oliva, aglio, olive nere di Gaeta, capperi e origano. Dello stesso piatto esiste anche come detto una versione propriamente romana che prevede l’aggiunta di un altro ingrediente fondamentale: le acciughe sotto sale. Altro punto discordante fra le due interpretazioni è il tipo di pasta: spaghetti, vermicelli o linguine a Napoli, e penne a Roma (oltre ai classici spaghetti). Le prime testimonianze di una pasta condita con una salsa molto simile a quella della Puttanesca, risalgono agli inizi del XIX secolo, quando il Cavalcanti, nel suo manuale “Cucina teorico-pratica”, propose alcune ricette di cucina popolare napoletana, tra le quali una “puttanesca” ante litteram, definendola “Vermicelli all’oglio con olive capperi ed alici salse”. Dopo alcune sporadiche apparizioni in altri ricettari di cucina napoletana, nel 1931 la guida gastronomica d’Italia edita dal T.C.I. la elenca tra le specialità gastronomiche della campania, definendola “Maccheroni alla marinara”, anche se la ricetta proposta è indubbiamente quella della moderna puttanesca. Si tratta, dunque, di uno dei molti casi nei quali il nome con cui è nota oggi la pietanza è successivo alla comparsa della pietanza stessa. Nel linguaggio comune infatti, questo particolare condimento per la pasta è noto semplicemente come “aulive e cchiapparielle”.
Ma allora da dove deriva questo nome così bizzarro? Il termine “puttanesca” è stato oggetto degli sforzi di immaginazione di molti esperti gastronomi, che hanno tentato in ogni modo di trovare la soluzione all’enigma. Secondo la tradizione che vuole la pasta alla puttanesca come tipica romana, agli inizi dl ‘900, un oste ideò questo piatto appositamente per i visitatori di una casa di appuntamenti che si trovava nella periferia di Roma. Una versione molto simile è quella raccontata dal noto esperto di gastronomia Arthur Schwartz che nel suo libro “Naples at table” ipotizza invece che la pasta alla puttanesca sia nata a Napoli e più precisamene nei Quartieri Spagnoli: all’inizio del XX secolo, il noto rione napoletano era infatti sede di attività di ogni tipo, tra cui alcune case di piacere. Un giorno il proprietario di una di queste “allegre dimore” decise di rifocillare i suoi ospiti inventandosi un piatto semplice e veloce, e fu così che pensò a questa pasta dal nome colorito. Altri fanno riferimento agli indumenti intimi delle ragazze della casa che, per attirare e allettare l’occhio del cliente, indossavano probabilmente biancheria di ogni tipo, di colori vistosi e ricca di promettenti trasparenze. I tanti colori di questo abbigliamento si ritroverebbero nell’omonima salsa: il verde del prezzemolo, il rosso dei pomodori, il viola scuro delle olive, il grigio-verde dei capperi, la tinta granato dei peperoncini.