Tufo: la storia di una pietra vulcanica che racconta le civiltà italiche

Conosciamo il tufo, in quanto è una pietra vulcanica usata in edilizia fin dai tempi antichi dagli Etruschi e poi dai Romani.

Sono giunti a noi dei monumenti conosciuti in tutto il mondo e costruiti con questa pietra: vedi il Colosseo iniziato dall’imperatore Vespasiano ed ultimato dal figlio Tito e Castel Sant’Angelo che l’imperatore Adriano volle fare erigere come tomba di famiglia e successivamente trasformato in quello che vediamo oggi.

Normalmente, oggi, quando si parla di tufo lo si abbina con il pensiero ai “blocchetti” con i quali vengono realizzate le case e le recinzioni, specie nel Lazio e nell’Italia Centrale.

Chi va per l’isola di Favignana incontra qua e là cave di tufo che danno la sensazione di antiche strutture, più o meno plasmate dai fenomeni atmosferici, o di grotte realizzate dalla mano dell’uomo.

Sono le antiche cave di tufo che per secoli hanno fornito materiale da costruzione un po’ a tutta la Sicilia occidentale. Basta guardare le facciate scrostate o tirate a vivo dei palazzi, delle chiese o delle case, per riconoscere che l’elemento base dell’edilizia non è stato tanto il mattone quanto il concio di tufo.

Questo materiale si presenta tenero allo strumento sapiente (il maranzano) tanto da poter essere modellato e sagomato secondo la necessità e il gusto. Duro e compatto, ha consentito di realizzare edifici che ancora ci narrano la loro storia, come la Basilica dell’Annunziata a Trapani.

Le cave potevano essere a cielo aperto, quando il materiale veniva estratto dall’alto verso il basso, dopo l’eliminazione del “cappellaccio“, cioè la parte superficiale. Esse si potevano presentare anche a caverna, quando i blocchi venivano estratti da sotto in su, avendo cura di lasciare in sito grosse sezioni (pileri) che sostenevano le volte.

I cocci di tufo (cantuna) erano estratti già squadrati in misure standard. Successivamente potevano essere modellati per la realizzazione di pavimenti più sottili. Nel caso dei rivestimenti, una delle facce veniva rifinita col maranzano per assumere un aspetto più omogeneo ed essere di grana più fine. Per l’estrazione, la conoscenza delle qualità statiche dei materiali guidava il cavatore. Egli, servendosi della picozza, dello zappone e del piccone nelle varie fasi della lavorazione, riusciva ad individuare i punti più idonei. Era l’esperienza, infatti, ad evitare che avvenissero crolli o che il materiale si danneggiasse.

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