U' Baccalaru o Piscistoccu: le incredibili curiosità della cultura del merluzzo dai Normanni alla Sicilia di oggi

I normanni che giunsero in Sicilia verso l’anno mille, erano gelosi custodi anche in guerra delle proprie abitudini alimentari, in un certo senso ci portarono il pesce bastone, sicuri discendenti di quei vichinghi grandi navigatori, che scorrazzavano i mari del nord europeo, toccando anche terre più lontane rispetto alla Norvergia del nord, abitatori delle isole Lotofen dove i merluzzi di quel mare crescevano copiosi.

Essi li pescavano e dopo averli eviscerati li stendevano all’aria aperta sui dei rami di alberi ad asciugarsi, il pesce cosi si disidratava riducendosi ad un bastone.

In questo modo la sua essiccazione permetteva di essere stivato nelle navi e durante le loro lunghe attraversate si potevano cibarsi di questo alimento che per la sua ideale e lunga conservazione risultava molto leggero e nutriente.

Tuttavia si deve alle popolazioni basche che abitavano il Golfo di Guascogna situato tra la Spagna settentrionale e la Francia ad occuparsi di questa risorsa alimentare.

Che per le loro esigenze di trasporto anziché esporlo all’aria aperta come facevano i vichinghi e poiché l’aria della nazione spagnola risultava meno fredda di quella norvegese decisero di metterlo sotto sale e ammassarlo in barili, nasceva in questa maniera: il baccalà, chiamato così dal termine tedesco-scandinavo “bakel-jaw”, bastone pesce cioè pesce bastone per via del stoccafisso che in inglese sta per “stock-fish” che essiccato diveniva un bastone chiamati in gergo moderno bastoncini di pesce.

Dai Baschi, i Vichinghi impararono questo tipo di conservazione del merluzzo, diffondendone il uso come cibo e non solo veniva utilizzato sulle loro navi come barometro, dopo averlo salato lo appendevano a bordo con delle corde e quando questo per via dell’aumento dell’umidità dell’aria incominciava a gocciolare e quindi si scioglieva il sale, voleva significare che era in arrivo una tempesta.

Per preparare il baccalà, il merluzzo dopo che viene pescato, si procede a decapitarlo, aperto si distende all’interno di barilotti, ed ad ogni strato di pesce vi si aggiunge il sale grosso.

In Sicilia il suo arrivo fu a metà del XVIII secolo e, lo si deve ai grandi trasporti per via di mare che le nazioni italiche come Venezia, Pisa, Amalfi e Genova che avendo empori in città portuali come Palermo e Messina preferivano scambiare questo alimento con altra merce locale.
A quanto pare fu scoperto da un mercante veneziano nel XV secolo naufragò presso le isole Lotofen, nel nord della Norvegia.

Veniva utilizzato dall’equipaggio perché forniva precise proteine in grado di equilibrare l’alimentazione che di solito era fornita da gallette accompagnate da sarde salate e frutta fatta essiccare in precedenza.

Nella pronuncia siciliana diventarono “piscistoccu e baccalaru” quest’ultimo molto utilizzato nel palermitano tanto che gli abitanti di Palermo per abbreviare una persona secca e sterile ed insignificante o incapace di reazioni dicono che essa è un “baccalaru”, ma esso nel gergo popolare è inteso pure come sesso dell’organo femminile molto piacente… “Gran pezzu di…baccalaru” !!