Indimenticabili, in uno spot di carosello degli anni 60, Gino Cervi e Fernandel, interpreti sullo schermo di Don Camillo e Peppone, facevano elegantemente finta di litigare di fronte ad un bicchiere di Vecchia Romagna.
Straordinari interpreti di una Italia di stile, di classe, anche nella pubblicità, una Italia che forse, inevitabilmente non c’è più, le epoche passano, ma che rimane impressa almeno in parte in un brandy straordinario, antichissimo, che ha fatto la storia del bere di casa nostra e che è nato addirittura prima dell’Unità d’Italia.
Nessuno può dimenticare quello slogan che rimbomba nella mente: “Vecchia Romagna, il brandy che crea l’atmosfera”.

Duecento anni di meravigliosa tradizione, iniziata con lo spirito sognatore di un francese giunto in Italia e mai più andatosene. Vecchia Romagna soffia su candeline importanti e non smette di innovarsi e migliorarsi: dal 1820, quando Jean Bouton si innamorò dell’Emilia, delle sue uve e delle sue terre così simili al Cognac, passando per tappe che hanno letteralmente fatto la storia del consumo italiano e non solo.

Close-up glass of brandy with ice cubes.

Nel 1830 Bouton aprì quella che all’epoca era la prima distilleria a vapore della nazione. I primi cento anni volarono sulle ali del successo e del progresso, fino al primo cambio di trucco: nel 1930 l’azienda venne rinominata Vecchia Romagna Bouton Brandy e adottò l’immagine stilizzata del Bacco, divenuta poi simbolo di qualità inossidabile. Non bastò il terrificante bombardamento della Seconda Guerra Mondiale, che distrusse praticamente l’intero impianto, per arrestare la scalata verso l’Olimpo dell’eccellenza: si salvò infatti la bottaia con tutto il tesoro custodito, che fece da humus fino al 1970, quando venne aperto il nuovo e futuristico stabilimento, ancora oggi in pienissima attività. La Città del Brandy, diciotto ettari di superficie, quasi quattromila barrique e settecento botti di grandi dimensioni. Un arsenale che ha convinto nel 1999 un colosso come il Gruppo Montenegro ad acquisire il brand nel proprio portfolio.
Duecento anni che rivivono nel Metodo Vecchia Romagna, raccontato da Antonio Zattoni, Direttore dell’Analisi Sensoriale del Gruppo Montenegro: “L’intero processo produttivo si basa ancora sul primo ricettario di Buton, tramandato e rivisto per i necessari aggiustamenti tecnologici”. Si tratta di un ibrido tra distillazione continua e discontinua in alambicco charentais di tradizione francese, prima di un invecchiamento in botti vecchie di almeno 150 anni e dotate di tostatura ad hoc: almeno un anno in barrique che hanno contenuto “un pregiato vino rosso veronese”, e un altro anno in botti di rovere di Slavonia. Poi si procede al blending e al marriage, per trovare la quadra perfetta, tradotta nell’iconica bottiglia triangolare: “Tre vuol dire perfezione. Tre sono i momenti del nostro processo produttivo e tre sono i legni coinvolti nell’invecchiamento”. Tutti dettagli che portano Vecchia Romagna a essere il brandy italiano più venduto al mondo.

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