Venchi: la grande storia del cioccolato italiano comincia nel lontano 1863

La storia del cacao sciolto in tazza incomincia in Piemonte come un privilegio per nobili e clero. Il “segreto spagnolo” fu portato quasi certamente alla Corte dei Savoia dall’Infanta di Filippo II, andata in sposa al Duca Carlo Emanuele I nel 1585. Abbiamo così deciso di aprire la mostra con il ritratto di Caterina (o Catalina, più correttamente) Micaela d’Austria, Duchessa di Savoia, realizzato dieci anni dopo il matrimonio e oggi esposto al Palazzo Madama di Torino. E la Duchessa, nel primo tabellone, passa idealmente il testimone della cioccolata calda al manifesto pubblicitario realizzato dal tedesco Roberto Ochsner nel 1890 per il “Cacao Due Vecchi”, iconico prodotto prima Talmone, poi Venchi Unica e quindi Venchi ancora oggi in produzione.

Ma il vero protagonista della prima parte della storia è Silviano Venchi (foto a fianco), primogenito di quattro tra fratelli e sorelle, figlio di contadini con terre a Robbio Lomellina, nelle risaie del Pavese vicino al Piemonte: a soli 14 anni arriva a Torino, nel 1863, e impara l’arte del confetturiere. In quel periodo la capitale sabauda è in gran fermento e incomincia l’epoca pionieristica dell’industria dolciaria: le fabbriche sorgono lungo il Canale Ceronda costruito dal Comune per dare potenza idraulica ai macchinari. In Borgo Vanchiglia, sulla via degli Artisti – a pochi passi dal Po – accanto alla quale allora scorreva l’acqua del Ceronda, sorge nel 1878 il primo laboratorio dell’”operaio dolciere” Silviano Venchi. L’azienda diventa assai presto, nel 1886, una Società Anonima, grazie all’apporto di altri soci. E si può ammirare il disegno del primo vero stabilimento sorto nel 1904, che già produce “Chocolat de Luxe”.

All’intraprendente Silviano quel primo impianto va stretto, i premi alle Esposizioni Universali si moltiplicano. Grazie all’arrivo di nuovi capitali (come quelli della Banca Ovazza), con il cognato Basilio, ufficiale del Regio Esercito, e la competenza di Gerardo Gobbi, un manager del quale si sa poco – nonostante possa essere considerato come una sorta di “Marchionne del cioccolato novecentesco”– riesce a realizzare il suo sogno. In corso Regina Margherita, a Torino, nel 1907 si inaugura un gioiello dell’architettura industriale, progettato dall’archi-star dell’epoca, Pietro Fenoglio, che agli inizi del Novecento ha disseminato di case Liberty e di capannoni Art Nouveau tutta la città. I depliant dell’epoca decantano i reparti in cui si producono le «più disparate varietà: confetti argentati, confetti e mandorle, confetti decorati, boligomma, tavolette zuccherine e pastiglie, fondenti e confetture speciali, liquirizia, caramelle e rock drops, cioccolato, gallettine, biscotti, wafers». Dopo la fusione tra Venchi e Unica, nel 1938, i capannoni passerano al Demanio statale come Opificio Militare: ciò che resta dell’antico splendore architettonico è ancora visibile oggi.

Dopo la morte nel 1922 di Silviano Venchi, senza figli, Gobbi e le famiglie Basilio e Gribaldi prendono in mano l’azienda, coadiuvati da Cesare Venchi, nato in Argentina, nipote del fondatore in quanto figlio del fratello Luigi, e che nel 1946 fu eletto anche consigliere comunale.

A questo punto la storia aziendale si complica, perché entra in campo l’avventura del finanziere mecenate Riccardo Gualino [nel cartellone della mostra, in alto a sinistra nel ritratto di Felice Casorati, con accanto i marchi che sono entrati a far parte della sua Unica] , grande figura di biellese intraprendente e poliedrico. Fu lui a intuire le potenzialità del cioccolato e dei dolciumi come nuovo consumo di massa: nel 1924 fonda la Unica (acronimo per Unione Nazionale Industrie Cioccolato e Affini), accorpando diverse aziende (comprese la Idea, la Talmone e la mitica Moriondo & Gariglio, allora famosissima) e fa costruire lo storico stabilimento di corso Francia, che dà lavoro a quasi tremila operai: tutti i torinesi lo ricordano come la sede della Venchi Unica. Dai documenti ritrovati presso l’Archivio di Stato di Roma, su indicazione della Camera di Commercio di Torino, la mostra offre per la prima volta il brevetto del marchio “Nougatine”, ancora oggi simbolo della Venchi: una madelaine dal croccante cuore di nocciole e miele rivestita di cioccolato. Fu depositato nel dicembre 1922 a Torino dalla ditta Idea, fondata dagli uomini di Gualino.

Le sorti dell’impero di Gualino, per la sua opposizione al fascismo e forse per azzardi finanziari, volgono al peggio agli inizi degli Anni Trenta del Novecento: l’imprenditore viene spedito al confino e la Unica passa alla Banca d’Italia, che ne risolve le sorti attraverso la fusione con la Venchi, sotto la guida di Gobbi. Sono anche gli anni di grandi innovazione nel mondo dell’arte cioccolatiera, da parte delle due aziende: la Unica già nel 1931 produce i primi mini-gianduiotti, come testimonia un catalogo dell’epoca, mentre qualche anno più tardi la Venchi Unica distribuisce sul mercato le innovative tavolette ripiene, con il marchio “Praletta”  (tavoletta+pralina). Anche le uova di Pasqua con sorpresa diventano un regalo popolare tra gli italiani, mentre i grandi cartellonisti dell’epoca, in stile futurista, impreziosiscono la pubblicità aziendale: appesi alle “americane” della Sala Fucine Ogr, la mostra presenta 15 riproduzioni di poster provenienti dal Museo del Manifesto di Treviso, Collezione Salce, realizzati da artisti come Fortunato Depero, Marcello Dudovich, Francesco Seneca, Leonetto Cappiello e Severo Pozzati.

Fino al 1954 sarà Gobbi, torinese tutto d’un pezzo a gestire la Venchi Unica [nella cartolina del 1954 la pubblicità all’ingresso di via Roma, a Torino]. Poi c’è il passaggio di consegne a un altro noto imprenditore, Giovanni Maria Vitelli, che per quasi vent’anni – dal 1957 al 1973 – è stato anche il presidente della Camera di Commercio di Torino.

La Venchi Unica allora era una società per azioni  e fu così possibile la scalata di un finanziere senza scrupoli, Michele Sindona, iniziata nel 1970: dopo alterne vicende imprenditoriali che rovinarono un prezioso patrimonio industriale, l’azienda nel 1978 fallisce e i capannoni rimasero deserti per anni, con centinaia di lavoratori in cassa integrazione. Nel 1995 il Comune decise di farne un’area residenziale e recentemente sono stati ristrutturati gli uffici direzionali dell’impianto di corso Francia, come sede di servizi amministrativi.

La terza svolta di questa affascinante avventura imprenditoriale avviene grazie a un altro self-made-man, il pasticcere cuneese Pietro Cussino, che coraggiosamente converte il suo credito con la Venchi Unica con l’acquisizione del marchio, nel 1980. Ma soltanto nel 1998 un gruppo di giovani imprenditori, coinvolti dal nipote di Cussino, Giovanni Battista Mantelli, appassionato esperto di cioccolato, riescono a far ripartire il marchio Venchi.

Ora l’azienda che festeggia il suo 140° compleanno, ed è presente nel mondo con oltre cento negozi, un moderno stabilimento a Castelletto Stura (Cn), 350 diversi prodotti al cioccolato e 70 gusti di gelato. Nell’ultima fase di sviluppo ha realizzato una “chicca” gourmet che ha vinto numerosi premi e rispetta pienamente il Dna di innovazione del marchio Venchi: il Chocaviar, caviale per golosi. A questa specialità si affiancano le tavolette di cacao d’origine da Ecuador, Perù e Venezuela. A questi prodotti – insieme alle artistiche fotografie di Giò Martorana del “gelato all’italiana” – sono dedicati gli ultimi pannelli espositivi.