Sin dal tempo dei Galli cisalpini e dei Romani i vini di Brianza erano ben apprezzati. Il primo riferimento viene dal greco Strabone (I sec d.C.) che, nella sua opera “Geografia”, annota come i Galli bevessero vino “con eccezionale piacere da botti grandi come case”.Per secoli le terre brianzole hanno trasferito le loro qualità in vini noti per la loro leggerezza e gradevolezza. Una storia che – almeno a livello leggendario – coinvolge anche i Longobardi se è vero quanto si narra e cioè che il vino si fosse affermato presso di loro nonostante il tentativo di sostituirlo con la produzione della nordica birra. Di sicuro il testamento redatto nell’879 dall’arcivescovo di Milano Ansperto certifica l’esistenza di molti fondi coltivati a vitigno proprio nella zona di Biassono, di cui il prelato era originario. Specificatamente citata è la vigna di Cenacello, località che è in assoluto la prima storicamente citata per la sua destinazione a vigneto.

La varietà dei vitigni (tra i più noti gli autoctoni Boutascera, Inzaga, Corbera, Guernazza e poi Vernaccia, Trebbiano, Bonarda, Malvasia, Pinot) fu coltivata sino alla metà del XIX secolo, epoca della drammatica e devastante comparsa della filossera, comparsa per la prima volta nel 1879 nella zona di Valmadrera (Lecco). Prima dell’infestazione, la coltivazione della “vite maritata” (le viti erano sostenute dai gelsi) aveva raggiunto alti livelli di produzione:48 mila ettolitri nel 1870. Un censimento del 1876 attivato dal Consorzio Agrario Brianteo accertò l’esistenza della coltivazione in Brianza di ben 46 tipi di uve, ma la stessa commissione incaricata di indicare quali fossero i tipi di uva più adatti a terreni e cimi di Brianza, fornì l’indicazione di limitarsi alla più idonea e vantaggiosa coltivazione di Cornetta, Barbera, Uvetta, Malvasia e Barbasina. Un lavoro risultato purtroppo inutile perché il decadimento dell’attività vitivinicola dovuto alla filossera e il contemporaneo forte sviluppo dell’industria hanno messo in secondo piano la vitivinicoltura brianzola, precedentemente celebrata da poeti e scrittori come Stendhal e Carlo Porta e valorizzata dal multiforme ingegno, anche quale agronomo, di Carlo Verri (autore nel 1803 del “Saggio di agricoltura pratica sulla coltivazione delle viti”), al cui nome è intitolato il Museo Civico di Biassono, un caposaldo della Cultura del Vino e delle tradizioni locali.